Nevermore
>>Traccia 22 dell’audioguida
Lasciamo ora il salone dell’ala ovest ed entriamo nelle docce dei guardiasala del museo. Molte delle opere qui esposte hanno origini umili, sventurate o del tutto ignote. La prima opera è Il Corvo di Luke, rinvenuto in un angolo del peggiore cesso scozzese. Commissionata da un facoltoso nano da giardino per immortalare l’agonia che si prova nel momento in cui aprendo uno yogurt si strappa male la linguetta, la tavola è realizzata in acrilico su supporto trattato. Bene. Forse.
Il Corvo vuole anche essere l’illustrazione dell’omonima opera di E.A. Poe, in cui l’animale pennuto è araldo dell’amara certezza che l’amata Lenora è perduta per sempre.
<Un Racconto breve, tanto che se fosse vino a stento riempirebbe un calice> così Luke commenta l’Opera di Poe. <Ciononostante> continua <un solo sorso de “Il Corvo” è capace di riversarti in un denso distillato di malinconia, un frangente dell’animo umano in cui i più coraggiosi non si avventurano> e cade svenuto.
Ecco una parte del brano interpretato dal primo attore della compagnia diventata celebre per i suoi interminabili spettacoli “Ancora un Poe, Ancora un Poe, Ancora un Poe…”
Una volta, a mezzanotte, mentre stanco e affaticato
meditavo sovra un raro, strano codice obliato,
e la testa grave e assorta — non reggevami piú su,
fui destato all’improvviso da un romore alla mia porta.
«Un viatore, un pellegrino, bussa — dissi — alla mia porta,
solo questo e nulla più!»
Oh, ricordo, era il dicembre e il riflesso sonnolento
dei tizzoni in agonia ricamava il pavimento.
Triste avevo invan l’aurora — chiesto e invano una virtù
a’ miei libri, per scordare la perduta mia Lenora,
la raggiante, santa vergine che in ciel chiamano Lenora
e qui nome or non ha più!
<…>
«O profeta — urlai — profeta, spettro o augel, profeta ognora!
per il ciel sovra noi teso, per l’Iddio che noi s’adora
di’ a quest’anima se ancora — nel lontano Eden, lassù,
potrà unirsi a un’ombra cara che chiamavasi Lenora!
a una vergine che gli angeli ora chiamano Lenora!»
Mormorò l’augel: «Mai più!».
«Questo detto sia l’estremo, spettro o augello — urlai sperduto.
Ti precipita nel nembo! torna ai baratri di Pluto!
non lasciar piuma di sorta — qui a svelar chi fosti tu!
lascia puro il mio dolore, lascia il busto e la mia porta!
strappa il becco dal mio cuore! t’alza alfin da quella porta!»
Disse il corvo: «Mai, mai più!»
E la bestia ognor proterva — tetra ognora, è sempre assorta
sulla pallida Minerva — proprio sopra alla mia porta!
Il suo sguardo sembra il guardo — d’un dimon che sogni, e giù
sui tappeti il suo riflesso tesse un circolo maliardo,
e il mio spirto, stretto all’ombra di quel circolo maliardo
non potrà surger mai più!
… sai no, quando ti chiamano e tu già dal numero capisci che è uno del call-center che vuole mollarti un’offerta. Cioè, ho già una serie di risposte pronte da dargli, ma quando inizia a parla… … … … cosa c’è? la smetti di gesticolare? Ah, stiamo registrando.
Londra. Seconda metà del ‘700. Il Conte Walpole di Oxford con “Il castello di Otranto” avanza una visione cupa del mondo, ponendo un apostrofo nero in risposta al radioso clima inglese. Il seme dell’oscurità venne piantato quel giorno, e da allora i cuori gotici non hanno più smesso di pulsare. Reeve, Dorè, Stoker, Radcliffe, Shelley, Goethe, Dacre, Lewis, Baudelaire, Poe, Hugo, Stevenson – alcuni dei nomi che ispirarono questi altri nomi – Charles Addams, James O’Barr, Bill Finger, Bob Kane, Caroline Thompson, Tim Burton, Henry Selick, Daniel Handler, Brad Silberling, Joy Division, The Cure. Le tenebre sono alla portata di tutti. La società è finalmente pronta ad apprezzare qualcosa che fino a poco tempo prima apparteneva ad un’area radicale o, semplicemente, del tutto non considerata. Insieme al beneficio della propagazione, l’unione con il genere popolare concepisce altri sottogeneri, il più delle volte talmente orrendi da portare rancore nei confronti di coloro che li hanno graditi.
Si, beh… questo è il parere di un’Audioguida. Ma andiamo avanti.
L’illustrazione manifesta lo stesso meccanismo che rende autosufficiente il genere che va a rappresentare, come nel caso dell’oscurità il fascino magnetico dal quale è avvolta, ma lo fa agendo sul solo senso visivo. Il soggetto e la sua disposizione, le forme e i colori che esse indossano; questi sono gli elementi da gestire. Sta all’abilità dell’autore utilizzarli nel modo più efficace per veicolare lo spettatore su quella superficie, per vincere sufficienza e disinteresse, e per arrivare a trasmettere -insieme al messaggio- un’emozione autentica.
<Gloria, Trionfo, Solennità!> la testimonianza di uno spettatore innanzi alle opere di Alma Tadema.
<Inquietudine, Paura, Vendetta!> quella di un signore quando tra la sua posta scorge il logo di Equitalia.
Tutti i giorni riceviamo input dall’esterno senza dar loro peso. La grafica della confezione di un prodotto in vendita o la segnaletica stradale hanno un breve tempo di assimilazione ma un importante fattore comunicativo. Entrambi nascondono uno studio per raggiungere uno scopo. Si pensi all’illustrazione per l’infanzia che comunica con chi ancora non è capace a farlo, o all’illustrazione scientifica, che diffonde la conoscenza scavalcando limiti legati al tempo, ai percorsi e alle lingue. L’illustrazione avrà sempre un ruolo da protagonista nello scenario quotidiano; e tanto più la società si spingerà verso la settorialità di studio e di produzione, maggiore sarà la necessità di trasmettere messaggi in maniera concisa ed efficiente, caratteristica propria di questo Media. Dopo tutto, non è forse vero che
un’immagine vale più di mille parole?!

>>fine della Traccia
Loop
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